L’amilasemia, termine poco conosciuto se non si è medici o comunque professionisti sanitari, indica la concentrazione nel sangue di una particolare proteina, l’amilasi. La misurazione dell’amilasemia non rientra tra gli esami di laboratorio di routine per il controllo del proprio stato generale di salute, anche in un’ottica di specifica prevenzione, come per esempio gli esami del sangue per l’analisi dell’emocromo, per la rilevazione della glicemia o dei livelli ematici di colesterolo. Questo tipo di esame viene generalmente richiesto dal medico di base o più spesso da medici specialisti in presenza di un determinato quadro clinico, per diagnosticare o escludere la presenza di alcune patologie.

Che cosa è l’amilasi

L’amilasi è una proteina con attività enzimatica prodotta dalle cellule con funzione di catalizzatore, cioè in grado di favorire o accelerare determinate reazioni chimiche.

In particolare, si tratta di un enzima che entra in gioco nel processo digestivo, dove ha la funzione principale di idrolizzare, cioè rompere, le molecole di carboidrati complessi presenti negli alimenti (polisaccaridi come amido e glicogeno) convertendole in molecole di zucchero più semplici (oligosaccaridi come maltosio e maltotriosio) che poi, ulteriormente scomposti, potranno essere assorbiti dall’organismo. Sostanzialmente, quindi, questa proteina serve per la digestione biochimica dei carboidrati, che avviene nella bocca e nell’intestino tenue (non nello stomaco dove l’ambiente troppo acido non consente il lavoro di tale enzima).

Nell’organismo umano vengono prodotte due isoforme dell’enzima amilasi (chiamato anche alfa-amilasi):

  • l’amilasi di tipo S (in passato nota anche come ptialina), che viene prodotta principalmente dalle ghiandole salivari e, quindi rilasciata nella saliva. Va però precisato che l’amilasi di tipo S può essere sintetizzata in misura minore anche in altri organi e tessuti, come ovaie, tube di Falloppio, tratto gastrointestinale, polmoni, muscoli striati;
  • l’amilasi di tipo P, che viene secreta dalle cellule del pancreas e, con il succo pancreatico, rilasciata nell’intestino tenue.

Solitamente l’amilasi è presente in piccole quantità nel sangue e viene eliminata dall’organismo, almeno in parte, attraverso le urine.

Perché si misura l’amilasi

La produzione di amilasi e la sua eliminazione sono di norma in equilibrio; la presenza di elevati livelli enzimatici nel siero (iperamilasemia) – che in genere segnala un’aumentata secrezione di amilasi a livello pancreatico o extrapancreatico o una sua ridotta ridotta rimozione dal sangue a livello renale – può quindi essere indice di qualcosa che non va. Allo stesso modo, anche un’amilasemia troppo bassa può essere spia di un disturbo.
Il dosaggio dei livelli di amilasi nel sangue e nelle urine, di conseguenza, può essere utilizzato a scopo diagnostico.

Il dosaggio dell’amilasi è utilizzato principalmente per la diagnosi di alcune patologie pancreatiche e in particolare della pancreatite acuta, infiammazione della ghiandola pancreatica, spesso dovuta alla presenza di un calcolo biliare o al consumo di alcol, capace di determinare un importante aumento dei livelli di amilasi nel sangue rispetto ai valori di riferimento. Tali livelli in genere tornano nella norma nell’arco di 3-7 giorni, mentre se permangono elevati nel tempo possono indicare la presenza di complicazioni.

I valori dell’amilasemia possono essere alterati anche in presenza di pancreatite cronica, oppure di condizioni croniche o acute a carico di altri organi. L’aumento dei livelli di amilasemia può essere osservato, per esempio, in presenza di condizioni a carico delle ghiandole salivari, come la parotite, malattia infettiva di origine virale che colpisce le ghiandole salivari parotidi, popolarmente nota come orecchioni.

Un aumento dei livelli di amilasi sierica si può infine rilevare in presenza di condizioni patologiche che non riguardano né il pancreas né le ghiandole salivari, oppure in caso di disturbi alimentari come anoressia e bulimia.

In generale, poiché almeno parzialmente l’amilasi presente nel siero viene poi eliminata attraverso le urine, all’aumento dell’amilasemia corrisponde un successivo aumento dell’enzima nelle urine. Ci sono però casi in cui questo non succede o, addirittura, a una iperamilasemia fa seguito una amilasuria (così si definisce la concentrazione di amilasi nelle urine) bassa. Succede non solo, come già indicato, in presenza di una riduzione della funzione renale, ma anche in caso di macroamilasemia. Quest’ultima è una particolare condizione in cui l’amilasi si lega con proteine ​​presenti in circolo, come immunoglobuline e con polisaccaridi, formando un complesso molecolare (macroamilasi) di dimensioni tali da non riuscire a passare attraverso il filtro renale, finendo così per accumularsi nel sangue.

Per completezza è bene ricordare che anche una cura farmacologica (per esempio con farmaci contenenti estrogeni, come gli anticoncezionali) può influenzare, aumentandoli, i livelli nel siero di amilasi.

Per quanto riguarda, infine, livelli ridotti di amilasi nel sangue, va detto che sono meno comuni dell’iperamilasemia; possono comunque essere osservati in presenza di alcune condizioni come, ad esempio, il diabete mellito e alcune malattie del fegato.

Quando e come si misura l’amilasi

Come abbiamo già accennato, la misurazione dei livelli di amilasi nel siero e nelle urine non rientra tra gli esami di laboratorio di routine. Questo esame può essere richiesto nell’ambito di una valutazione clinica medica del paziente svolta dal medico di medicina generale o più spesso da uno specialista (per esempio da specialisti in medicina interna, in gastroenterologia, in immunologia clinica, in nutrizione clinica ecc.), in presenza di un determinato quadro clinico (ad esempio se durante la visita sono riscontrati sintomi che possano far sospettare una malattia del pancreas, come forte dolore addominale, nausea, cattiva digestione, dimagrimento inspiegabile).

La misurazione dell’amilasi oltre che a scopo diagnostico, può essere utilizzata anche per monitorare una patologia precedentemente riscontrata e valutare l’efficacia di un’eventuale terapia in atto.

La misurazione della concentrazione di amilasi può avvenire con diverse modalità:

  • su un campione di sangue venoso
  • su un campione di urine prelevato in qualsiasi ora della giornata oppure sulle urine raccolte nelle 24 ore
  • su un campione di liquido peritoneale (in caso di ascite).

Per alcuni prelievi può essere prevista una preparazione specifica del paziente. Nel caso di prelievo di sangue, ad esempio, il laboratorio di analisi può richiedere il digiuno da almeno 8 ore.

Solitamente si misura la concentrazione dell’amilasi totale. Se il medico lo ritiene necessario, però, può essere fatto anche il dosaggio dell’amilasi pancreatica.

Attualmente, non esiste un intervallo di valori di riferimento stabilito a livello internazionale per i livelli di amilasi; il range varia quindi da laboratorio a laboratorio: in genere sui referti è compreso tra 30 e 110 U/L (ma può arrivare anche a 20-300 U/L).

 

Fonti